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al testo di Giorgio Mancinelli
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'Arcana memoria dell'acqua' Premio 'Opera Prima' 2019 a Giorgio Mancinelli - Cierre Grafica / Anterem Edizioni.
Riflessione critica di Giorgio Bonacini: 'Scrivere con l'acqua'.
Ci sono luoghi, forme, figure, elementi, mondi che da sempre appartengono alla storia dell’immaginazione umana: archetipi che rappresentano il vero e reale farsi di ogni vita fondando il nostro essere, in quanto materia di natura e sostanza pensante. Se poi questo viene sentito come corpo sensibile e mentale, fisico e tangibile, e si trova dentro un’elaborazione poetica, allora la scena che si apre si muove in un territorio vastissimo, indefinibile e nello stesso tempo pertinente e inequivocabile, per effetto della diramazione di un senso diffuso, oltre il significato evidente. E l’acqua, nel caso specifico, è il costituente primo (e primordiale) che ci designa e ci nutre, nella cui esperienza configuriamo la nostra bio-grafia.
In questa raccolta di poesie (distinte per titoli, ma che si può dire formino un’unica ode) Giorgio Mancinelli svolge un canto per l’acqua e con l’acqua, attraverso una sapiente ondulazione avvolgente, in cui la scrittura poetica, segnata dal fluire di un dire il cui movimento è vocale e interiormente consonante, nasce da un respiro che ondeggia nell’estensione liquida che ne designa l’ambiente e ne disegna l’orizzonte di veduta. Anche visivamente (e non è un dato secondario, perché in poesia forma-sostanza-struttura aderiscono in un unico lavoro di significanza testuale) i versi si presentano, nella loro necessaria quanto voluta mancanza di punteggiatura (puntini di respiro sospensivo a parte), e di lettere maiuscole (tranne i nomi propri) come qualcosa che scorre – dopo un precedente e sconosciuto inizio – proprio come un fiume: non con linearità, ma con svolte, arresti e sospensioni lì dove si “protrae il tratto di blu”, verso una conclusione ulteriore.
Un estremo non pronunciato, forse indicibile o inimmaginabile, forse toccato dopo “la morte per esempio”, prova a chiedersi l’autore, nel mutismo pensieroso, inquieto e perplesso che non propone risposte. Né potrebbero esserci, quando le domande sono la sintesi di una meditazione che interroga se stessa, consapevole che ogni risposta è solo un piccolo brandello di sapere per l’intelletto inquieto e nostalgico. Nondimeno l’acqua, in tutte le sue modalità d’esistenza, anche immateriali (perché immaginative, ma non meno reali) è ciò che può sostenere - inarcando l’andamento della voce o rivolgendosi al silenzio - la linea del poema, partendo da un gesto propulsivo che dà origine a un moto sostenuto da una doppia natura: l’esperienza che trae da una visione emotiva e concettuale multipla (acqua di mare, di fiume, ma anche di nuvola) e la parola che, scrivendone, giunge a inarrivabili sviluppi, tra svolgimenti, pieghe, ricadute e tutto ciò che la scrittura nutre, concerne e sente.
Prendono così si forma architetture liquide che solo una mente in atto di lirica coesione può concepire: rendendo reale anche la figurazione impressa e fuggevole nello sguardo del miraggio. Ma è proprio da qui, da questa frattura che si crea, tra ciò che il poeta estrae da una realtà grezza e la riparazione estetica ed etica che il pensiero ispirato opera a partire da quella apparenza, un nuovo modo di rappresentare che è immagine, metamorfosi e sogno: musica visiva di una “possibile/impossibile sopravvivenza”. Certo, questo attraversamento che s’insinua, s’immerge e risale fluttuando tra la realtà e le sue metafore, potrebbe rischiare di portare la parola ad accarezzare il sollievo di una pacificazione con l’attrito del mondo.
Ma l’autore che pure a volte sfiora, (come anche nella vita accade, forse per sfinitezza o per momentaneo segno di tenerezza verso il mondo) “una pacata speranza di luce”, è però attento a non farsi sorprendere e avvolgere, perché sa che la poesia deve aprire varchi, sgranare la voce trasportando l’immedesimazione percettiva (si può essere “mare e gabbiano” nello stesso momento) fino al punto estremo in cui sembra avvenga una rottura insanabile: dove il mare diventa deserto, la schiuma d’acqua un vento di sabbia e le ombre appaiono insormontabili dune. È solo così, però, in questo continuo mutamento, che la parola poetica si fa pensiero di lacerazione e ricostruzione, complessità e semplicità: ossimori esistenziali necessari per ridisegnare il sintagma delle onde, il gocciolare delle sillabe. E anche se non sempre il testo manifesta in superficie questo stato di fibrillazione, è il suo “spostarsi silenzioso” che Giorgio Mancinelli muove nell’ oscurità di una tensione interna, modificando incessantemente l’armonia e la disarmonia del mondo in poesia.
Ed è proprio in questa forza che penetra il tentativo ineludibile di raggiungere la propria forma spuria (perché la poesia non ambisce a purezza intoccabile) di un dire essenziale che possiede e sente la memoria, pur nella dimensione arcana del dolore umano dove “urla straziate si levano” fra le turbolenze naturali che tremano quando “sussulta il mare/in solitario pianto”. È questa esondazione sofferente ci ricorda quanto la poesia sia costante domanda che indica un sovvertimento: non chiarezza, seppur elusiva, e nemmeno nascondimento, ma un intenso andirivieni che, antecedendo il prima, va oltre il dopo, senza mai sapere se si sta “andando o tornando dall’eterno oblio”.
Sono questi scorrimenti, queste fuoriuscite di correnti del corpo-mente che trasportano i linguaggi nel loro formarsi e deformarsi, tra le onde foniche che sollecitano e a volte rigurgitano i sensi di un sentimento a cui il poeta prova a dare una direzione. Un tragitto la cui modificazione, nonostante sia sempre irreversibile (come avverte l’autore in modo energico), non ha mai lo stesso inizio, mai la stessa fine. Così, ciò che rimane è la contraddizione vitale di un “limite impraticabile” che ci “rivela tutto il suo incanto”.
Dalla silloge poetica di Giorgio Mancinelli - Cierre Grafica / Anterem Edizioni 2019 - Premio 'Opera Prima' collana di poesia a cura di Flavio Ermini.
'arcana memoria dell’acqua' … Urubamba - Perù
ricordo di un fiume che scorreva lento anzi lentissimo e tutti scendemmo dal treno fermo nella valle lungo la rotaia che costeggiava la sponda qualcuno prese un sasso e lo gettò nell’acqua altri s’inginocchiarono con religiosa mestizia intenti a pregare protèsi come per bere sussurrarono al fiume una supplica o forse una cantilena dai poteri magici e comunicare all’acqua inenarrabili segreti una giovane donna rimasta in solitaria attesa si chinò sfiorando con le labbra l’acqua limpida trasparente del fiume vi bisbigliò un messaggio capace di risvegliare gli spiriti ancestrali che lo custodisse fin oltre il possibile negli alvei delle profondità nascoste e lo portasse al suo perduto amore dovunque - disse fin dove giunge l’arcana memoria dell’acqua
'squarci di cielo'
come somigliano a stralci di poesie quegli squarci di cielo azzurri che al diradarsi del buio sembrano spalancare momenti di un’alba ritrovata allorché gabbiani lunghi al volo inseguono la linea marcata dell’orizzonte e quelle vele bianche rigonfie di vento come assomigliano alla rinnovata speranza del domani … e quelle nuvole astanti allineate sulla tela di fondo sospese come volute di panna e caramello che pure tengono alla luce che s’indora nell’ora del mattino prima del levar del sole quando già s’apre al risveglio la palpebra stanca nel sogno avverato d’esser tornata alla vita … eppur quasi che l’acqua specchiata del mare s’intorbida a sprazzi e in altri lascia spiare il buio delle profondità ove acquattate sul fondo giacciono dormienti le deità marine che gli occhi splendenti di sale riflettono di lacrime vive a proseguire la grande corsa dell’onde sulla sabbia prima di morire
'maree'
ho viaggiato a lungo sul limitare del mare affrancando nei porti le bianche vele della giovinezza lì dove il susseguirsi delle maree mi conducean nell’avventura dei giorni allorché l’adulta età ritrovasse il canto delle onde ove appresi a conoscere al cambiare di sponde altri luoghi e altre genti nel giubilo danzante della vita tutte diverse eppur tutte uguali creature che nell’insieme avevano concepito un’unica velleità di sopravvivenza altresì compresi che il canto poteva farsi preghiera levata al misterioso Iddio che s’ovvede d’ogni cosa dell’andamento umano ciò che all’arbitrio reclama il continuo riscatto d’una cercata felicità che di maree la vetusta età ricolma allorché lasciata la sponda amica all’onda ritorna a ritrovare l’altra che d’apprima avea lasciata sì che la senile età delle burrasche e delle tempeste solo ricordar vuole le nuvole che come bianche vele un dì vide passare sul limitare dell’immenso mare. |
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